domenica 28 novembre 2010

La commistione di sacro e profano




nota: Il post è ad alto tasso di supposizioni e non mi aspetto che l'eventuale lettore possa essere immediatamente d'accordo con la ricostruzione offerta di certi fatti, nè con gli scenari presentati.

Vorrei raccontare una storia che affonda le sue radici nel tempo che fu, quando esistevano ancora due blocchi contrapposti e due visioni antitetiche della tecnologia.



C'era una volta un cancro da estirpare, una aberrazione del mercato che rischiava di soffocare la parte sana, il tessuto produttivo, che creava impiego e fatturato dietro la cortina di ferro del software proprietario da rivendere a caro prezzo alle aziende e ai privati che non conoscevano alternative.
C'era una volta, dicevamo, e tutto questo c'è ancora, anche se sta lentamente cambiando pelle.
Anni di scontri ravvicinati, colpi bassi, carte bollate e tribunali hanno permesso di metabolizzare diversi concetti anche nei più fervidi oppositori e, senza dubbio, hanno anche stimolato la messa a punto di strategie per integrare un modello di sviluppo anarchico e difficilmente malleabile alle logiche commerciali e del profitto, tipiche di un'impresa che vuole competere e prosperare nel mercato.
Eravamo abituati a vedere questi enormi leviatani che sono le corporation assorbire a colpi di milioni di dollari realtà con pochi mezzi ma tante idee per poi frantumarle, non prima di aver brevettato il loro patrimonio intellettuale.
Microsoft ci ha costruito la sua fortuna, in fondo.
Oggi l'approccio è diverso.


La svolta


La crisi, in questo senso, è stato uno spartiacque ideale per accelerare il cambiamento.
La limitatezza dei capitali ha aguzzato le idee su come massimizzare nuovamente i profitti contenendo le spese, vecchi rapporti si sono incrinati e tutti hanno cominciato a guardarsi intorno, scoprendo un universo parallelo capace di innovare e sostenere la crescita a costi contenuti o addirittura inesistenti.
In questo piccolo/grande stravolgimento di prospettive i leader del mercato si sono trovati di fronte a due possibilità opposte: continuare a schiacciare, col rischio di andare contro alle nuove richieste del mercato o attrezzarsi e rinnovarsi, perchè tutto cambiasse senza spostare certi equilibri o posizioni.
Abbiamo assistito e continuiamo ad assistere ad acquisizioni e clamorose aperture: Sun aprì prima i sorgenti di Star Office, nel 2000, divenendo patron di OpenOffice.org e verso la fine del 2006 i sorgenti di Java, Novell comprò Suse nel 2003, solo ieri Oracle comprava Sun ereditandone il portfolio di tecnologie, oggi Attachmate, che i beninformati vogliono vicinissima a Microsoft, acquisisce Novell.
E' una escalation che sembrerebbe non avere nessun nesso e che invece potrebbe svelare l'evoluzione del rapporto fra mercato, software proprietario, open source e brevetti.


Il gioco delle scatole cinesi


Sco ha fatto scuola: la sua pervicacia nel rivendicare brevetti di Unix nel kernel Linux è stato uno spauracchio per diverso tempo, prima che un tribunale stabilisse che la proprietà di Unix fosse attribuibile a Novell ma, buon ultima ritroviamo Oracle che ha citato Google per la presunta violazione di alcuni brevetti detenuti su Java implementato in Dalvik la macchina virtuale di Android, che non è tanto diverso dai contenziosi pendenti, in ordine sparso, fra HTC e Microsoft o Apple e Nokia o HTC e Apple o tutti insieme appassionatamente.
E' un discorso complicato e queste sono solo speculazioni, ma cosa succederebbe se le aziende iniziassero a vendere prodotti ibridi, o presunti tali, come è appunto il caso di Android, in cui open source e closed source convivessero assieme?
Probabilmente qualcun'altro si sentirebbe in dovere di rivendicarne un pezzo, sventolando lo spauracchio del brevetto per questa o quella tecnologia.
Una guerra di logoramento in cui il software a sorgente aperto, libero per antonomasia e per termini di licenza, potrebbe trovare un armistizio solo previa adeguata certificazione, per non incappare nelle ire della concorrenza, perchè, se è vero che non posso vendere un patrimonio condiviso, posso comunque pensare di vendere un prodotto più complesso che ne faccia uso in modo più o meno determinante o intensivo e rivendicare il mio compenso su di esso.
E' come se Apple o Google non vendessero Webkit, però mi facessero pagare per usare Chrome o Safari, per dirla con un esempio banalissimo e, forse, poco pertinente, che spero renda l'idea.
Sostanzialmente, anzichè distruggerlo che non si può, i big dell'industria stanno tentando di chiudere porzioni di software libero in pacchetti proprietari, acquisendo altri aziende che già fanno affari con l'open source per appropriarsi del know how e delle tecnologie strategiche per restare in sella sempre e comunque.
Un modello inedito che permetterebbe a Microsoft, per esempio, di uscire dalla London Stock Exchange con Windows Server e rientrarci con OpenSuse oppure di assicurarsi il riassetto informatico della regione Puglia, rimanendo interlocutore affidabile e mettendo al riparo l'utilizzatore finale da eventuali ritorsioni legali o ad Oracle di saltare sul carro di Android accaparrandosi una bella fetta di profitti, in una allegra commistione di sacro & profano da far trasecolare anche Stallman dalla seggiola nella cantina della Free Software Foundation.
Cos'è un sorriso amaro quello che vedo sulle vostre facce?

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