venerdì 7 gennaio 2011

Le opportunità di un app store open source



Navigando nel neonato Mac App Store che, da ieri, proverà a bissare i successi dell'appstore più fortunato della - e scusate il neologismo - smartphonia non si può nascondere una certa amarezza per le opportunità create, saccheggiate e perdute dal software open source nel corso di tutti questi anni.

Il concetto di Appstore, Market, Marketplace, chiamatelo come volete, non è in effetti la novità che viene propagandata oggi dalle Corporation, per chi è abituato da almeno un decennio ai repository ed alla comodità di un luogo centralizzato dove reperire, installare e aggiornare il proprio software.
La vera novità degli AppStore è la loro dimensione di massa, raggiunta grazie al battage pubblicitario, al seguito degli utenti, alla diffusione di certi prodotti, alla capacità di trasformare in denaro un'idea di buonsenso.
Qualcuno troverà da obiettare che il mondo dei computer è ben diverso da quello mobile, che un'app store non è l'unico modo per procurarsi e installare quello che ci torna utile e l'obiezione sarebbe legittima se non fosse che la strada, anche dalle parti della concorrenza, sembra voler ricalcare le medesime strategie, se è vero che la nuova release di Windows potrebbe integrare un negozio di applicazioni e Canonical sembra profondere un certo impegno per migliorare il, fu, gestore delle applicazioni per presentarlo più chiaro, amichevole - redditizio? - a vecchi e (sperabilmente) nuovi utenti.
Ma, mi chiedo, oggi che i tempi sembrano maturi: cosa accadrebbe se un soggetto forte, pensiamo a sourceforge per esempio, o la stessa FSF scendessero nell'arena in prima persona con un appstore che promuovesse tutto il software libero disponibile: un'applicazione sì, multipiattaforma perfino, open source come è giusto, dove chiunque potesse scaricare, liberamente, gratuitamente (o a pagamento, perchè no?), i prodotti frutto del lavoro collettivo, premiare i migliori, spingere lo sviluppo di quelli interessanti, cestinare la paccottiglia, proprio come avviene nel mondo reale ma senza i legacci, le clausole più o meno vessatorie, le percentuali sui profitti rintracciabili da qualche altra parte?

Un luogo equo dove vendere e acquistare software, nel mercato, ma fuori dagli interessi di una singola azienda.
Perchè non uscire dalla nicchia ideale e utopistica dettata da Stallman e provare a confrontarsi sul serio, sfruttare una maggiore visibilità per cavalcare le opportunità di finanziamento offerte dalla pubblicità, dare effettivamente senso ai vantaggi di portabilità garantendo i medesimi strumenti su piattaforme differenti, presentare il software libero in una dimensione a misura di utente che, in fondo, dei massimi sistemi si intende poco, ma potrebbe aver disperato bisogno di un word processor senza impegnare un rene per comprarne uno, piuttosto che lanciare strali e anatemi su tutti quelli che non sono o non credono nel software a sorgente aperto, come motore di innovazione e produttività?
Se è vero che, parafrasando Jobs, gli uomini non sanno di cosa hanno bisogno finchè qualcuno non glielo mette sotto al naso, perchè non costruirlo sul serio quel bazar che teorizzava Eric S. Raymond, piuttosto che continuare a raccontarcelo come una tribù dimenticata nella foresta vergine che alla sera, attorno al fuoco, si abbandona ai miti e alle leggende del tempo che fu.

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